AVVENTURE IN QUOTA



Scusi..è il Mont Avic? No, l’Iverta


Data di pubblicazione: 6 ottobre 2014
Scritto da: Luca Bausone
LE NEBBIE SULL'AVIC E FORSE ANCHE DENTRO DI ME

Il meteo questa volta è dalla nostra, consulto con avidità qualche sito escursionistico per cercare qualche bella gita che ci soddisfi. Siamo allenati e motivati per cui la cerco impegnativa e dopo una decina di minuti capito sulla relazione del Mont Avic, nell’omonimo parco. Mi brillano gli occhi di soddisfazione, fa proprio per noi; zona selvaggia, avvicinamento lungo e roccette finali in cresta per la nostra voluttuosa voglia di adrenalina, perdo persino la bava per l’eccitazione. Mi affretto a inviare mail a Federico che in un batter d’occhio dà un’occhiata alla gita e aderisce entusiasta all’iniziativa: appuntamento alle sette a Verres, veloce risalita mono macchina all’amena località di La Ville e partenza nella frescura mattutina. Siamo concentrati e motivati, - nessuno ci potrà fermare- pensiamo - l’Avic è nostro! Lanciamo un’occhiata sulla nostra preda, una montagna strana e affascinante, uno spuntone rossastro che nella parte destra, dopo un breve tratto ripido, digrada in un ampio e scosceso vallone mentre nella parte sinistra crolla verticalmente per qualche centinaio di metri, conformazione strana per non dire unica almeno nella Vallée. Procediamo baldanzosi sull’ottimo sentiero e, dopo un lungo tratto boschivo, giungiamo ad una zona più brulla dove il sentiero risale costantemente su pendenze sostenute. Ora fa un caldo porco, siamo sudati marci ma niente può scalfire la nostra determinazione, neppur il Bec Espic, arcigno sperone che ci osserva con scetticismo dall’altro lato del vallone. “Ora tocca al povero Avic, poi sarà il tuo turno…” penso lanciandogli un’occhiata di sfida ma velocemente i miei pensieri tornano sull’ obiettivo della giornata.




Con un passo marziale, dopo aver percorso il sentiero della miniera di ferro del Lac Gelée, arriviamo al Lago e facciamo una breve sosta al Bivacco del Corpo Forestale. La giornata è bella ma qualche umida nebbia sta transitando per il parco; non ci scomponiamo, niente può farci desistere dalla nostra impresa e dopo il salutare break proseguiamo verso il colle di Raye Chevrere con passo sostenuto. Nella pietraia dopo il colle veniamo raggiunti da una fitta nebbia – “niente paura sono solo nebbie passeggere” - dico a Federico che mi lancia uno sguardo tra lo speranzoso e lo scettico. “Tra poco dovrebbe esserci un ometto per svoltare verso la vetta” – aggiungo.




Mai previsione fu così sbagliata. Iniziamo a salire e la nebbia si infittisce, come due fantasmi percorriamo il tratto di sentiero verso il colle ansiosi di incontrare l’agognato segnavia, non ci vediamo e non vediamo neppure le punte dei nostri scarponi, l’atmosfera ovattata ci fa ricadere in un rassegnato torpore quando improvvisamente cozziamo contro un solido e slanciato omettone.




Io e il socio ci guardiamo soddisfatti (in realtà non riesco a vederlo ma intuisco il suo sollievo) , come il ragionier Fantozzi che vede la madonna sulla traversa della porta alla fine di una drammatica partita di calcio aziendale e presagisce la fine delle sofferenze. È l’ora di svoltare, ci guardiamo (la nebbia si è un po’ alzata per cui ora ci vediamo) con la determinazione di inizio gita, pronti a dirigerci verso la vetta e quando sto per scattare una domanda agghiacciante si insinua nel mio cervello: “Si ma dove, destra o sinistra?” apro nervosamente la tasca dello zaino ed estraggo una relazione stampata frettolosamente in ufficio. Mi son perso una pagina, quella dove parla del famoso ometto, la nebbia nel frattempo ha offuscato anche la mia memoria. Ora mi ricordo, si, sinistra, e non per convinzioni politiche, solo che ora finalmente mi ricordo. Dovrebbero esserci degli ometti a segnalare il percorso, vediamo il primo, un paio di sassi accatastati, e ci ragioniamo sopra: “sono accatastati per caso o sono stati impilati accuratamente da mano umana?” Decidiamo per la mano umana, chiaro che la natura non può accatastare sassi con tale precisione, e proseguiamo per ipotetiche tracce di sentiero.




Saliamo per roccette, la maledetta nebbia ci riavvolge, troviamo qualche sasso accatastato ma in questo caso la mano umana non la percepiamo, siamo esausti e dopo una ventina di minuti ci troviamo al principio di un canale di sfasciumi ripidissimo, fa paura. “Sei sicuro che sia questo?” mi domanda Federico con malcelato scetticismo. In effetti la relazione parla di un ripido canale di sfasciumi prima della cresta finale. “Non può che essere questo!” rispondo ostentando una sicurezza rassicurante. Ci rifocilliamo, ogni tanto lanciamo un’occhiata timorosa al pendio, più lo osserviamo e più diventa ripido, personalmente smetto di guardarlo perché non diventi strapiombante. Un’ultima sorsata, zaino in spalla e parto convinto, nel delirio del momento mi pare di vedere una traccia di sentiero “Trovato!” grido a Federico che una decina di metri più in basso mi guarda come si guarda uno da internare. Proseguiamo lentamente, il pendio si conferma ripido e pericoloso e nel salire mitraglio di pietre il mio sventurato compagno d’avventure che però, con ottimi riflessi, si esibisce in parate di pietre degne del miglior Buffon.




L’ultimo tratto è verticalissimo, compio un ultimo disperato sforzo e sono su una specie di colletto ampio e sassoso; guardo a sinistra e a un centinaio di metri da noi compare un’ampia vetta con una croce , guardo a destra e, dall’altra parte del vallone vedo, quasi completamente immerso nella nebbia, nientemeno che il Monte Avic. Dal mare di nubi appare solo la vetta che mi osserva beffarda, sento un rumore, probabilmente una scarica di sassi ma a me sembra chiaramente una pernacchia, il socio arranca sull’ultimo strappo, mi raggiunge e dopo una rapida occhiata dice “ma dove cazzo siamo?” “Non ne ho la minima idea…” rispondo “ma là c’è una croce di vetta” aggiungo. “Mi sa che ci seppelliranno lì sotto…” risponde Federico sconsolato.




Dopo esserci ripresi dallo shock fisico e psicologico iniziamo la breve salita verso la misteriosa croce, alcune persone sono già in vetta e ci guardano incuriosite, quando le raggiungiamo un gentile e attempato escursionista ci chiede sogghignando: “da che parte siete passati? non vi abbiamo mai visto sul sentiero”. “Perché non abbiamo fatto nessun sentiero!” gli rispondo stizzito, ormai ho il senso dell’umorismo di una lavatrice. Il simpatico vegliardo ci guarda come se fossimo due pazzi, sembriamo due reduci dalla campagna di Russia, ansanti e impolverati. Colgo la palla al balzo, non sappiamo dove siamo per cui aggiungo “Bella montagna questo…” e tossisco attendendo dal vegliardo la conclusione della frase che, dopo una breve esitazione, arriva puntualmente “…I…Iiiverta, si bella, peccato per queste nebbie, fossimo sull’Avic non si vedrebbe niente…”. “Infatti!” aggiunge Federico con gli occhi iniettati di sangue. Il vegliardo escursionista ci guarda preoccupato, parlotta con la sua compagna, si allontanano salutandoci cordialmente e per un centinaio di metri continuano a sbirciarci temendo un’aggressione montana.




Dopo un salutare pranzo e le consuete foto di vetta scendiamo a valle questa volta per il sentiero normale anche se per noi potrebbe essere considerato più alpinisticamente la “normale”. Passiamo per il gradevole Lac des Heures, scendiamo ulteriormente, costeggiamo il lago Gelato e, alzando lo sguardo, a picco su di noi compare il canalaccio che tanto ci aveva fatto penare.” Beh, percorso avventura.” dico ridacchiando e Federico annuisce dicendo “non per l’Avic però, mi sa che sul sito dovrò fare una strana recensione della salita all’Iverta e neanche per il sentiero…”. Proseguiamo per l’ameno sentiero e, dopo l’interminabile vallone già percorso in salita torniamo al delizioso borgo della Ville. Lì il nostro sguardo volge verso il mancato Avic ma è uno sforzo inutile: una fitta nebbia continua ad avvolgere l’inafferrabile vetta. Avrei voglia di scagliare i bastoncini verso di lei ma mi trattengo. Sarà per la prossima volta, qualcosa è finito nel nostro carniere di escursionisti, una facile e panoramica vetta raggiunta involontariamente con percorso semi-alpinistico. Nel frattempo, per un nuovo assalto all’Avic, ci presenteremo con grosse frontali antinebbia…

La relazione della salita al Mont Iverta - Lago Gelato - Lac des Heures la trovate QUI

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